GOLIARDIA IN TRE LOCALI:
SUSSAMBRINO, BARATTI & MILANO, MOLINARI


  • Il ristorante Sussambrino di via Po. Arrigo Frusta ce descrive le attrattive:

    A quei tempi la trattoria del “Sussambrino” era, insieme col “Pastore”, la “Posta”, il “Cairo”, la “Cuccagna” e il “Masserano” uno dei locali più rinomati per il buon vino e particolarmente per la specialità della costoletta al burro frizzante, che uno poteva ordinare a qualunque momento, pagando il modico prezzo di settanta centesimi. […] Sta di fatto che, sia per la costoletta al burro frizzante e il buon vino, sia per la vicinanza all’Università, sia per qualch’altro motivo, gli studenti notte e giorno l’affollavano. Massime all’ore del pranzo, e anche dopo, c’era un ronzio, un vociare, dei gridi e dei rimbombi, che assordavano, e un afrore di vino e di cibo, che, al primo entrare, prendeva alla gola. Ma ciò che più infastidiva era quel fumo denso di pipe e di toscani, dove i contorni delle cose diventavano indecisi e le sagome delle persone parevano fluttuare dentro un’atmosfera densa di nebbia.

    […] Poi, dopo un’abbondante cena tra amici, in cui vengono prese collettivamente le principali decisioni inerenti la gestione del “neonato” giornale dialettale Birichin:

    Alle tre [di notte] finalmente fecero sturare l’ultima bottiglia e brindarono alle glorie del nuovo Birichin. Così in quella sala del “Sussambrino” la notte del 23 marzo dell’anno 1896 cominciarono quei sei anni, che furono i più famosi per il coraggioso giornale piemontese e per il nostro vecchio dialetto.

    E proprio al Sussambrino, qualche anno dopo, successe un fatto degno di essere ricordato: infatti fu qui che venne cantato, per la prima volta, Il Commiato di Nino Oxilia, che con diverse strofe, sarebbe poi divenuto molti anni dopo il celeberrimo inno del partito nazionale fascista: Giovinezza.

    Giuseppe Blanc, autore della musica, ricorda:

    “Un mattino del maggio 1909, verso mezzogiorno, vennero a casa mia alcuni amici laureandi. Era mezzogiorno, ma io dormivo ancora. Mi obbligarono ad alzarmi, spiegandomi che quella sera stessa ci sarebbe stata, al ristorante Sussambrino in via Po, una cena nella quale i laureandi avrebbero dato l’addio agli studi. Occorreva una canzone: dovevo comporla immediatamente. E i versi? Gli amici suggerirono di ricorrere a Camasio, ma io preferii Oxilia, che era di facilissima rima. Passammo il pomeriggio insieme, Oxilia ed io, a fare e disfare versi, a tempestare sul piano, e alla sera l’inno era pronto. Al ristorante Sussambrino fu cantato per la prima volta ed ebbe un grande successo. Lo stampò l’editore Gori, di piazza Castello, mettendoci in copertina un classico disegno di Golia, pseudonimo di Eugenio Colmo, uno dei migliori cartellonisti che l’Italia abbia avuto”.

    Un altro locale dalle “velleità letterarie” fu il celeberrimo Baratti & Milano, in piazza Castello, che nel febbraio del 1911 ebbe la sistemazione, come la vediamo ora, delle due sale della confetteria ad opera di Rubino e Casanova. E’ risaputo che su un tavolino del Baratti nel 1907 Guido Gozzano (forse all’uscita dalla Società di Cultura?) ispirandosi alle signore che mangiavano le paste, scrisse la poesia Le golose. Nel 1910, dopo un periodo di allontanamento dalla città, Gozzano ritornò alla vita mondana; Emilio Zanzi ricorda:”Il poeta veniva frequentemente a prendermi al giornale, in via Parini, verso le 19, per poi andare al bar Baratti & Milano, di piazza Castello (che era allora il locale più lussuoso della Torino primo Novecento) per prendere il vermouth e intrattenersi con gli amici Chiaves, Bassi e Croce. Qualche volta Gozzano s’incontrava con i Duchi di Pistoia e di Bergamo, allora giovani ufficiali”.

    Di quel periodo sono le nuove amicizie di Gozzano con Chiaves, Zanzi, e il poeta Ernesto Ragazzoni, che ritroveremo al Molinari.

  • Infatti il terzo locale che intendo qui citare è il Molinari. Angiolo Biancotti riferisce:
    Torino dunque ospitava una sua “scapigliatura” meno seria di quella lombarda, famosa per i nomi di Praga, di Tarchetti e di Boito: quella che si scapigliava all’ombra della Mole era più libera, più scanzonata, più parigina o torinese. In genere si raccoglieva al Molinari di Torino; il celebre “Moli” di spensierata memoria.

    Cita tra i frequentatori nomi dell’industria, nobili, artisti, attrici famose, e letterati.

    […] e poi tutta una schiera di artisti, di scrittori, di giornalisti […] Bevione e Mario Bassi, Pastonchi e Ragazzoni, Sobrero e Corvetto, Giovanni Croce e Gozzano, Vallini e Nino Berrini, Emilio Zanzi e Federico Chiaves. Nino Oxilia e Sandro Camasio.

    Un bel calderone! Invece Guido Zanotti è molto preciso nel circoscrivere il proprio “gruppo”:
    Al termine degli spettacoli serali il convegno era al Molinari. Questo “Gran Caffè ristorante” di Cichinet e Bastianin Ascheri era situato all’angolo di piazza Solferino e di via Santa Teresa; […] Era dunque il Molinari il locale dove noi “giovanissimi e di belle speranze”, particolarmente appassionati all’arte drammatica e già favorevolmente introdotti nell’agone delle lettere e del teatro, ci si dava convegno. Tra i componenti dei giovanissimi di cui faceva parte anche lo scrivente ricorda Giovanni Croce, Nino Oxilia, Sandro Camasio, Nino Salvaneschi, Ermete Della Guardia, Giovanni Manca. […]Seduti intorno ad un tavolo con dinanzi a ciascuno un caffè od una birra, si parlava, si discuteva, avvenivano scambi di idee e di impressioni, si architettavano sogni e si fondavano speranze. Giovanni Croce era già autore di un volume di versi ed era abituale collaboratore di un quotidiano torinese; Nino Salvaneschi, il più dinamico ed il più attivo di tutti era già noto come autore di un apprezzato volume di impressioni sulla Svizzera, di una commedia rappresentata con successo dalla compagnia di Alfredo Sainati e collaboratore abituale della rivista “La Lettura” di Milano: Ermete Della Guardia fecondissimo collaboratore di quotidiani politici; Nino Oxilia e Sandro Camasio instancabili orditori di trame e di soggetti di commedie; Giovanni Manca umorista e valente caricaturista e collaboratore del celebre foglio umoristico “Pasquino”.

    Che il gruppo, il “cenacolo” di Camasio e Oxilia al Molinari non fosse ridotto alle persone elencate da Zanotti (Zanotti, Croce, Salvaneschi, Della Guardia, Manca) è confermato da Ernesto Cazzola, che in una lettera indirizzata a Vittorio Gassman (di cui ho l’originale della minuta), scrive:

    Frequentavamo con lui [Ernesto Ragazzoni], Giovanni Corvetto (l’autore della canzoneA Tripoli) Giovannino Manca – il bravo artista- disegnatore ed i miei intimi amici Nino Oxilia e Sandro Camasio e molte altre persone, tutti affiatati, un caffè, ora scomparso, situato nel cuore di Torino – via Venti Settembre, nel largo verso via Santa Teresa – ma ci era riservato un angolo quasi senza luce del retrobottega, dove però nessuno poteva venirci a scocciare. Esaminiamo più da vicino alcuni di questi interessanti personaggi che si avvicendavano nell’angolo “quasi senza luce del retrobottega” con Camasio, Oxilia e Cazzola.

    Ernesto Ragazzoni fu giornalista alla Gazzetta di Novara e a La Stampa; di lui ci rimane un ritratto tratteggiato da Carola Prosperi mentre Ernesto Cazzola nella su citata lettera lo definisce “stravagante”, e stravagante lo era davvero, dato che il suo spirito lo spingeva a mescolare col lavoro le sue matte burle. Componeva poesie fatte per essere declamate in compagnia, tra cui ricordiamo Elegia del verme solitario, Nostalgie del becco a gas, e l’Apoteosi dei culi d’Orta:

    Culi d’Orta, esultate! O culi avvezzi,
    quando mettete a nudo il pensier vostro,
    a cercare un asil con tutti i mezzi
    (omissis)

  • Poesia di cui Ernesto Cazzola, nella lettera citata, spiega delicatamente a Gassman il contenuto, temendo sia ormai andata perduta.

    Giovanni Croce, altro amico del “cenacolo del Molinari”, ebbe la vita troncata a soli ventidue anni. Morì il 14 novembre 1911, nella sua camera che dava su piazza Castello, mentre si sentivano le musiche e le marce dei bersaglieri che stavano partendo per Tripoli. La sua produzione poetica è stata rintracciata da Franco Pessana, in un saggio molto ben approfondito. Ho potuto vedere la copia de Sul limite della luce (Tip. Sella e Guala, Torino, 1908), dedicata dall’autore con queste parole: A ricordo della nostra giovinezza offro al caro amico Cazzola, dicembre 1908. Gli amici fecero la stessa opera pietosa che faranno, in anni successivi, per Camasio prima e per Oxilia dopo: mettere insieme i manoscritti e curarne la pubblicazione postuma. Sempre un amico della cerchia del Molinari, Nino Salvaneschi, nel 1913 scrisse la prefazione di Un Uomo, mentre Camasio e Oxilia curarono la pubblicazione di una raccolta di novelle di Croce (Il più dolce peccato, Lattes, Torino, 1912). Guido Zanotti nel già citato Nostalgie di Torino ricorda la dipartita dell’amico attribuendone la causa a “fulmineo morbo” mentre Gigi Michelotti riferisce di una lunga lotta condotta dal poeta contro il male. Certo è che la prefazione alla sua ultima opera uscita in vita sa di oscuro presagio:

    Io sono malato di Torino. Quando io passeggio qui sotto mi sento avvinto da una malinconia inesprimibile e nello stesso tempo da una gioia morbosa. Vorrei fuggirne lontano, per non spasimare di desiderio nell’aria viziata che si respira qui [i portici di piazza Castello]; eppure, se me ne distacco, una febbre mi coglie di ritornare. E’ inutile ch’io lotti: sono una vittima dell’anima di Torino…e forse ne morrò.

    Questo fa dire Giovanni Corvetto a Croce nella prefazione de L’Anima di Torino, edito nel 1911, pochi mesi prima della morte dell’amico.

    Giovanni Corvetto, giornalista per La Stampa, era, come ricorda Cazzola a Gassman, l’autore di Tripoli, bel suol d’amore, la canzone che fu in un certo senso l’inno “ufficiale” della guerra di Libia del 1911-12. Come Il Commiato, nacque casualmente; Corvetto, alla vigilia della propria partenza per la Libia quale inviato per La Stampa, la scrisse per Gea della Garisenda, nota soubrette che la cantò al teatro Balbo di Torino in una serata rovente per il precipitare degli eventi politico-militari; e la cantò seminuda e avvolta nel tricolore, il che accese d’entusiasmo patriottico dei presenti e non solo, dato che la canzone si diffuse rapidamente in tutta Italia, e la cantavano anche i soldati in Libia.

    Infine, voglio parlare di un ultimo amico delle serate al Molinari: Giovanni Manca. Il quale, in virtù del suo essere caricaturista al Pasquino, “battezzò” il Futurismo con una vignetta satirica:

    [Marinetti] tuttavia con una buona dose di autocritica pubblica proprio sull’ultimo numero di “Poesia” una gigantesca vignetta colorata, [….] già apparsa sul Pasquino, che ben riassume l’ironia con cui il movimento è stato accolto in quei mesi: vi è raffigurato un corteo di futuristi, tra enormi striscioni e cartelli con il nome di medicinali molto pubblicizzati all’epoca, la pillola “Pink” e il “Tot”, evidente allusione ai metodi reclamistici e promozionali del gruppo. La manifestazione è aperta da un gruppetto schiamazzante di cani e ragazzini – che di fatto rappresentano due miti del movimento: rispettivamente l’animalità e l’esaltazione della giovinezza. Al centro si vede il leader del gruppo, vestito da antico vate, con tanto di corona di alloro e un fascicolo di “Poesia” sotto braccio; tutt’attorno s’agitano pagliacci e suonatori di grancasse; un pugile che colpisce un passante mette in pratica l’estetica dello schiaffo e del pugno, mentre un misogino nel prendere a calci una signora applica alla lettera il disprezzo della donna. [Tratto da: Claudia Salaris, Marinetti-Arte e vita futurista, Editori Riuniti, Roma, 1997].

    Non dimentichiamo che in quel periodo, e precisamente l’otto marzo del 1910 si tenne al Politeama Chiarella di Torino la terza serata futurista (dopo Trieste e Milano). La gazzarra incredibile di quell’occasione può forse essere spiegata anche dalla riserva di goliardia (e di munizioni…) presente nel sottosuolo: infatti Leo Torrero ci avverte che nei sotterranei del Chiarella v’era un ritrovo chiamato “La camerata de’ Pazzi” frequentato, tra gli altri, anche da Camasio e Oxilia.

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